OSEA, IL PROFETA DELLA TENEREZZA


“Quando il Signore cominciò a parlare a Osea [...]” (1,2).

Così inizia il libro di Osea, figlio di Beeri, profeta dell’VIII secolo a.C., originario del regno del Nord. E subito si evidenzia la concomitanza dell’inizio della missione profetica e dell’avvio del dramma personale dell’uomo-Osea, cui viene impartito dal Signore un comando reciso :”Va, prenditi in moglie una donna di prostituzione e abbi figli di prostituzione”. (1,2) La donna scelta dall’obbediente Osea si chiama Gomer, figlia di Diblaim : sulla sua reale identità si sono scatenate molte discussioni da parte di interpreti (specie dai medioevali in giù), recalcitranti ad ammettere che un comando del genere potesse provenire da Yhwh. Un’ipotesi cara a certuni era che Gomer avesse svelata la sua indole solo dopo il matrimonio e che l’espressione ‘figli di prostituzione’ indicasse solo che la madre poteva trasmettere ai figli la sua perversa natura : ma restava comunque il comando, proveniente dall’onniscienza divina; altri pensavano che Osea avesse preso in moglie una ierodula cioè una prostituta ‘sacra’, tra quelle che animavano i culti cananei della fertilità, ormai molto diffusi anche in Israele. Fin qui nulla di particolarmente attraente, si potrebbe dire : siamo di fronte ad uno dei misteriosi e categorici comandi di Yhwh, cui non si può non ubbidire, esperienza condivisa da tutti i profeti. Ma, a questo punto interviene un elemento che tocca anche il distratto lettore di oggi, perché trasforma la situazione in dramma personale, dramma di sempre : Osea si innamora della discutibile e discussa donna, scelta per semplice obbedienza : tradito e umiliato, egli non può tuttavia rinunciare alla donna amata. Quella che si sviluppa tra Osea e Gomer è una vera e propria storia d’amore, con relativa descrizione di stati d’animo, delusioni, amarezze.Non vi è nulla in Osea del marito inesorabile, che, tradito, si appella alla legge mosaica per ottenere la lapidazione dell’adultera che, fra l’altro, potrebbe aver partorito almeno due figli adulterini, cosa particolarmente grave nel mondo ebraico per il quale la filiazione è il criterio distintivo dell’adulterio. Nel momento del disinganno e dell’amarezza il profeta si abbandona a minacce nei confronti della moglie dalla quale ha divorziato; sembra voler mettere i figli contro di lei; “nessuno la toglierà dalle mie mani” (2,12), sembra preludere a chissà quale vendetta: ma subito dopo “ecco l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”(2,16); “canterà come nei giorni della sua giovinezza” (2,17). Il ‘deserto’ sta ad indicare semplicemente il pentimento e la purificazione, potremmo dire il divenire ‘povera nello spirito’ che condurrà la donna a voltare le spalle agli allettamenti del lusso facile e dei piaceri proibiti, per aprirsi alla rinnovata seduzione dell’uomo che, nell’impeto di un amore molto più consapevole, non chiamerà più padrone, ma sposo, marito, ponendo l’accento non più sulla subordinazione della sposa allo sposo, ma sull’intimità di un autentico rapporto d’amore : e questa è la storia d’amore di Osea e Gomer. Alcune espressioni sono intensamente poetiche :”parlerò al suo cuore”, e il successivo “ti farò mia sposa per sempre” traduzione del verbo che nella Bibbia è usato solo nei confronti della vergine. Coinvolto così profondamente nel suo dramma personale (il cui lieto fine, per la verità, è sognato da Osea, immaginato e sperato, ma non si sa sino a che punto effettivamente realizzato), il profeta giunge ad una piena comprensione di ciò che avviene tra Yhwh e Israele “dimentico del suo autore”. E diventa la voce della tenerezza di Dio. Il Dio del libro di Osea sembra in alcuni tratti anticipare l’Abbà del Vangelo :”Quando Israele era fanciullo, io l’amavo [...] Addestravo Efraim a camminare, lo portavo sulle mie braccia” (11,1,3)e “fui per lui come chi alza un bambino fin contro la propria guancia; poi si abbassa fino a lui per farlo mangiare” (11,4). Osea aggiunge un connotato al disegno di Dio di cui Amos parlava ancora in termini politico-sociali, secondo la categoria sinaitica dell’Alleanza; in lui l’amore umano diventa il mezzo espressivo dell’amore di Dio per l’uomo e dell’uomo per Dio. Se in preda allo sdegno e all’amarezza per l’ingratitudine Dio colpisce per mezzo dei profeti e uccide con le parole della Sua bocca, subito dopo afferma “Io voglio l’amore”. Certo è sconcertante parlare di ‘dramma’ riferendosi a Dio, a un Dio trascendente come quello della Bibbia, il Dio im-passibile, che non può soffrire perché è Dio. Ma Dio non soffre perché gli è venuto a mancare qualcosa, ma perché è Padre e non soffre la propria (impossibile) sofferenza, ma, acutamente, la sofferenza dei figli (e certo quella futura del Figlio. Il ‘ruggito’ del Dio di Amos diventa in Osea la voce di Dio che sa farsi tenera e accorata nel richiamare e nel perdonare “Israele, se tu mi ascoltassi” è il sospiro del Salmo 80, che Osea sembra riprendere.